martedì 18 settembre 2007

Ogni volta che torno a Delianuova vado a trovare due di noi che hanno avuto il coraggio di rimanere, grazie alla loro intelligenza, capacità e tenacia , costruendo qualcosa che da lustro alla nostra terra.


Complice il Parco Nazionale dell’Aspromonte, Antonio Barca non ha lasciato le sue montagne. Non se ne è andato dai suoi fiumi che, nei mesi invernali, scorrono con forza terribile verso un Mediterraneo così vicino e, allo stesso tempo, così lontano. Oggi Antonio può salire, ogni giorno, come quando era bambino, ai piani di Carmelia, terrazza geologica sotto la piramide di boschi e la roccia di Montalto, la vetta più elevata, a quasi duemila metri, di questa ultima montagna del continente Italia. Eppure, solo pochi anni fa, Antonio, 40 anni, aveva la valigia già pronta: non poteva più fare, per una schiena a pezzi, il carpentiere. Marie Theresè Italiano (Teresa), sua moglie, era già a Treviso. Tutto era pronto per lasciare il paese, Delianuova, e migrare, come mille altri, verso Nord. Ma questa, per fortuna, è una delle storie-simbolo del nuovo Aspromonte, uno dei tanti racconti possibili della rinascita di questa montagna: Antonio alla fine, con coraggio e felicità, ha fatto retromarcia, ha deciso che il suo futuro è ancora qui. Ai piani, fra le faggete di alta quota, fra le fiumare di ciottoli lisciati dalle acque, fra i paesi che si abbarbicano alla pietra, fra la neve che, per mesi e mesi, si ribella alla dolcezza del Mediterraneo e imbianca l’Aspromonte. Antonio è diventato una delle guide del Parco. E, con altri giovani (Diego ed Aldo), ha creato un’associazione di turismo naturalistico. Tre ragazzi che, in questa periferia estrema d’Europa, hanno deciso che vale la pena provare a vivere in una terra straordinaria.

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da Repubblica

In punta d'Italia

Compare Saro mi disse una notte: che senti nel bosco? ( chi senti intra o boscu?)Io dissi: sento il vento ( sentu u ventu). E lui: scimunito, questa è l'acqua ( scimunito, chista ie acqua) . Aveva ragione, c'era un torrente. E all'alba lui era lì, nel posto giusto a pescar trote".

Sono uscite le stelle e Antonio Barca, proprietario, costruttore e gestore del rifugio di Piani di Carmelìa, quota 1260, racconta come ha imparato a conoscere la Montagna Sacra dei calabri. L'Aspromonte, alto come un transatlantico nel mare senza fine. Antonio ha fatto tutto da solo. Ha trovato il terreno e costruito il rifugio con oltre venti letti. Oggi ha la schiena rovinata dalla fatica ma non si lamenta, è felice di vivere quassù. Ha acceso il fuoco, a tavola c'è sua moglie Marie Thérèse Italiano, c'è Diego Festa, la guida scesa dal cielo che m'ha aggiustato la Topolino, e l'amico Giuseppe Lorenti che m'ha raggiunto come un falchetto da Catania.

La macchinina è fuori al fresco, sporca e felice. "Mio padre e compare Saro mi hanno insegnato a conoscere la montagna, a muovermi senza mappe di notte ascoltando il rumore dell'acqua, a trovare le tane delle martore, a cacciare i ghiri dopo la festa dei Morti. Ah, i ghiri! Sono una leccornia, la carne più delicata del mondo...

Ho imparato tutto da bambino: vedevo ghiande a terra e sapevo se le aveva rosicchiate il ghiro, il topo, il moscardino o la ghiandaia. Questo è il mio mondo, la vita mia". Per un attimo scende il silenzio. "Ma è dura quassù, Paolo. Non sai quanto è dura.

Le colombe partono e i corvi restano. L'emigrazione è ripresa alla grande. Ma io ho detto no, non sono partito, ho investito qui tutto quello che avevo. Questa montagna è una favolosa risorsa per i giovani di buona volontà. Ma quasi nessuno mi aiuta. Pensa che un giorno è venuto qui il presidente del parlamento danese, con i figli e il sacco a pelo. E' rimasto folgorato dal luogo. Te lo vedi un politico italiano che fa la stessa cosa?".

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