domenica 9 settembre 2007

Delianuova



Foto panoramiche di Delianuova , delle pignare del medico Tornatora (Paracorio) e Scerra ( Pedavoli)
Il vedere queste immagini mi porta la mente a tanti ricordi. Penso che anche a voi dia questa sensazione. Ricordiamo quei momenti tutti assieme nella nostra comunità virtuale.






12 commenti:

maria ha detto...

Ciao zio, complimenti per il blog...spero che la tua idea funzioni e che le bellezze paesaggistiche di Delianuova vengano (ri)scoperte dagli emigranti e non ...ti raccomando aggiornalo!! :) by i tuoi nipoti lametini

grazia ha detto...
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piera-r ha detto...

ottima idea, Papalia. scava nella memoria. lo sai fare. affioreranno tanti ricordi che, vedrai, saranno condivisi ed ampliati da molte persone che come te vogliono mantenere viva la propria storia, personale e collettiva. per sè. e per i propri figli.

grazia ha detto...
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grazia ha detto...

sito interessante da vedere
http://www.educazioneallalegalita.it/index.php?blog=2&cat=1

piera-r ha detto...

ho visitato il sito suggerito da grazia. io non sono calabrese, sono di origini venete e vivo vicino a Torino. Vorrei capire di più del malessere che accompagna l'Aspromonte, nella vita spicciola normale delle persone e di come,nell' emigrante, possa restare come ombra. Al Nord si parla tanto di legalità, si fa tanto x rendere coscienti i nostri ragazzi, ma in realtà probabilmente non capiamo niente

grazia ha detto...

Articolo di Andrea Semplice

Il destino incrociato della montagna e della sua gente

Complice il Parco Nazionale dell’Aspromonte, Antonio Barca non ha lasciato le sue montagne. Non se ne è andato dai suoi fiumi che, nei mesi invernali, scorrono con forza terribile verso un Mediterraneo così vicino e, allo stesso tempo, così lontano. Oggi Antonio può salire, ogni giorno, come quando era bambino, ai piani di Carmelia, terrazza geologica sotto la piramide di boschi e la roccia di Montalto, la vetta più elevata, a quasi duemila metri, di questa ultima montagna del continente Italia. Eppure, solo pochi anni fa, Antonio, 40 anni, aveva la valigia già pronta: non poteva più fare, per una schiena a pezzi, il carpentiere. Teresa, sua moglie, era già a Treviso. Tutto era pronto per lasciare il paese, Delianuova, e migrare, come mille altri, verso Nord. Ma questa, per fortuna, è una delle storie-simbolo del nuovo Aspromonte, uno dei tanti racconti possibili della rinascita di questa montagna: Antonio alla fine, con coraggio e felicità, ha fatto retromarcia, ha deciso che il suo futuro è ancora qui. Ai piani, fra le faggete di alta quota, fra le fiumare di ciottoli lisciati dalle acque, fra i paesi che si abbarbicano alla pietra, fra la neve che, per mesi e mesi, si ribella alla dolcezza del Mediterraneo e imbianca l’Aspromonte. Antonio è diventato una delle guide del Parco. E, con altri giovani (Diego ed Aldo), ha creato un’associazione di turismo naturalistico. Tre ragazzi che, in questa periferia estrema d’Europa, hanno deciso che vale la pena provare a vivere in una terra straordinaria.
Ci devo credere anch’io quando incontro Michele Galimi. 54 anni, il sindaco a Cinquefrondi, settentrione dell’Aspromonte, uno dei 37 comuni che fanno parte di questo parco vasto 78mila ettari. “Qui, in questi anni, vi è stato un vero miracolo -dice con un largo sorriso sotto i baffi. -Il vento è cambiato. Noi tutti, sindaci di paesi un tempo dimenticati, siamo saliti fino al santuario di Polsi, il cuore sacro di queste montagne e lì abbiamo firmato un patto di riconciliazione fra l’uomo e la natura. È come se avessimo ritrovato, dopo anni di sottomissione, la nostra cultura, i nostri valori, i nostri saperi. Grazie al Parco, siamo diventati una comunità orgogliosa della propria identità”. Cosa è accaduto in questa Calabria? Cosa sta accadendo?
L’Aspromonte non è una montagna ‘aspra’. Tutt’altro. Strade (dissestate e frananti) e mulattiere aggirano i suoi canaloni e corrono sul filo di stretti crinali. È probabile che siano stati gli antichi coloni della Magna Grecia a chiamarlo così: aspros è bianco in greco e qui la neve rimane a lungo sulle cime delle montagne. L’Aspromonte è una grande piramide a terrazze. È terra giovane, questa: una coda inquieta (per terremoti, frane e alluvioni) dell’Appennino. Qui tutto è instabile: 45 terremoti in una manciata di secoli. Alcuni sono durati anni: hanno seminato il terrore e cambiato, crollo dopo crollo, la geografia dei valloni. La stessa Calabria, ogni cinque anni, si piega verso Nord di un centimetro. Le fiumare, corsi d’acqua senza sorgenti, gonfiati dalle piogge, a volte, in inverno, diventano oceani rabbiosi: strappano terra alla terra e provocano tempeste di alluvioni. Le acque, allora, accerchiano i paesi dei pastori e lo Stato, nei decenni, non ha saputo far altro che trascinare via la gente dalla montagna: Africo, Roghudi, Amendolea, Pentidattilo si sono trasformati in borghi-fantasmi. I montanari della Calabria, fra il 1951 e il 1972, vennero trasferiti, con la forza, sulla costa. Solo Canolo, paese dell’alto Aspromonte, si rifiutò di essere deportato: fu ricostruito, ma quattrocento metri più in alto, ai piani, là dove c’era buona terra da coltivare e pascoli da sfruttare. “E fu una scelta di grande saggezza”, dice oggi il sindaco Silvio La Rosa. Guardare lo scempio di Roghudi trasportato sul mare per credere.

Il popolo di questa Calabria è contadino e pastore, cacciatore e montanaro. Sono uomini e donne che hanno sempre vissuto lontano dal mare, chiusi fra gole inaccessibili e pietre puntate verso il cielo.
Dico che vado in Aspromonte e il caporedattore di un importante giornale mi grida dietro:”Attento a non farti rapire”. Lo dice oggi, anno 2004, a quindici anni dall’ultimo sequestro. Ma questo ancora si pensa, nel Nord d’Italia, di questa terra: l’Aspromonte è la regione dei rapimenti. Qui, trent’anni fa, saltarono tutti i codici dei vecchi, degli anziani, dell’antico potere: negli anni ’70 e ’80, la nuova ‘ndrangheta scatenò la sua offensiva, l’Aspromonte divenne il simbolo della criminalità organizzata, dello sfascio urbanistico, del degrado inarrestabile, di ogni malsviluppo. Questa è terra sfregiata dai traffici di droga, dall’abusivismo edilizio, da mille e mille case che restano scheletri di cemento, da discariche di rifiuti (sono state censite, negli anni scorsi, solo nel territorio del parco, 380 carcasse di auto scaraventate giù nei burroni), da un bracconaggio impietoso, da pesca di frodo fatta con calce e corrente elettrica. “Ha senso costruire un parco in questa realtà?”, si chiese Tonino Perna, calabrese, sociologo all’università di Messina, quando, cinque anni fa, il ministro dell’ambiente Edo Ronchi, lo volle presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Allora, 1999, questo dimenticato ente pubblico aveva solo due dipendenti. La gente dei paesi vedeva il Parco come il nuovo abuso di uno Stato che sapeva solo imporre divieti e mettere la gente in galera.

Sentite oggi i sindaci. “Il Parco ha aperto cuore e mentalità. Ci ha reso orgogliosi della nostra montagna”, dice Francesco Morano, sindaco di Cittanova, il comune più grande di questa terra. “Cinque anni fa, sul mio tavolo c’erano 560 firme contro il Parco, ricorda Silvio La Rosa a Canolo, oggi una simile petizione ne raccoglierebbe meno della metà”. “La provvidenza ci ha dato il nuovo parco” dice Carmelo Siciliano, responsabile dell’associazione Ekoclub di Molochio, ex-cacciatore. “La gente ha capito che queste montagne sono un dono, un patrimonio nostro”. Davvero è successo qualcosa in questi cinque anni in Aspromonte: è come se i figli dei vecchi briganti e degli emigranti si siano ribellati al destino e se ne siano riappropriati. Nel 1999, le prime carte che Tonino Perna vide sul suo tavolo erano venti richieste di comuni che pretendevano la riduzione dei confini del Parco. Oggi sono dodici i nuovi paesi che chiedono di farvi parte e solo cinque insistono per tagliare queste frontiere naturalistiche.

Dice Tonino Perna: “Volevo capire se era possibile uscire da una situazione di degrado e marginalità grazie allo strumento di una istituzione pubblica”. Un parco ha obiettivi ambiziosi: tutelare l’ambiente, migliorare la qualità della vita, promuovere un territorio. “Ma su questa terra ci devono rimanere gli uomini e le donne, ricorda Perna, e devono viverci bene”. I meccanismi di una rinascita si sono messi in moto: nei paesi sono cresciute storie su storie. L’università Bocconi di Milano è scesa fino a Bova, paese-aquila della Grecanica, per metter su un master sullo ‘sviluppo locale’. Musicisti sono arrivati fino a Gerace, borgo medioevale della Jonica, per insegnare violino. Cacciatori (un esercito da queste parti) hanno seguito corsi per la gestione del capriolo (che verrà reintrodotto nei boschi) e del cinghiale. Scrittori perseguitati nei loro Paesi verranno a vivere nei paesi di questa montagna. Finanziamenti del parco hanno consentito il restauro dei forni comunitari a Canolo: qui le famiglie si fanno, da sole, il pane di segale. Una carovana di sindaci dell’Aspromonte ha girato l’Italia dei parchi: partivano in un autobus dalla Calabria per salire fino alla Toscana, al Piemonte, al Trentino per incontrare altri amministratori. Ne è nata l’associazione dei comuni nei parchi (e presidente ne è il calabrese Galimi). A Samo e a Bagaladi sono venuti allievi di istituti d’arte di Reggio Calabria, Genova, Trento e Firenze ad affrescare, con trompe-d’ oeil, le facciate di cemento delle case. Cooperative di giovani (a Riace, a Gerace) hanno cominciato a comprare da pastori increduli la lana che loro sapevano solo bruciare o buttar via. Ragazze hanno ripreso a lavorare la ginestra e sono venuti stilisti a comprare le nuove-antiche stoffe. A Cittanova, ogni anno, trenta giovani europei, per due mesi, studiano ‘giornalismo ambientale’.

Queste montagne non sono disabitate. Sono terra viva e bella. Con mille fragilità e almeno due facce: la determinazione dei suoi ragazzi e la minaccia della nuova ‘ndragheta’. Del resto qui il vallone della Madonna scorre parallelo alla valle Infernale. Due facce, come i suoi ecosistemi: le foreste dello Zomaro e le arsure dei versanti jonici, la segale che, in estate, cresce ai piani e il tappeto di olivi della piana di Gioia Tauro. Lo capite? Il Parco dell’Aspromonte sta cercando di farci sapere che ‘un altro Sud è possibile’.


Andrea Semplici

piera-r ha detto...

Grazia sei grande

grazia ha detto...

grazie piera, vorrei essere grande, però sono solo un'emigrante con tanta voglia di riprendersi le proprie radici, antonio di coraggio ne ha avuto nel suo piccolo è stato un grande come buona parte della gente che prova a rimanere o tornare al proprio "paese" speriamo veramente che la legalità funzioni e che la lotta alla illegalità abbia buon fine ciao

piera-r ha detto...

ecco perchè mi piace visitare questo blog. perchè si parla di radici e di futuro insieme ad esse. Chi con la propria famiglia e i propri compaesani ha subìto un'emigrazione nella generazione precedente queste radici non riesce più a ritrovarle. Non si sente nè carne nè pesce. Fa parte dell'ambiente dove è cresciuto, senza però appartenervi, avendo sempre avuto come riferimento la propria regione d'origine.

antonella ha detto...

Finalmente mi sono decisa.........
ho visitato il tuo blog!
Straordinario!!!!!!!!
Rivivere le proprie radici,è sempre emozionante, riviverle con chi ha condiviso le tue emozioni lo è ancora di più!

Anonimo ha detto...

Lu pacciu pe la guerra

Tutti quanti li perzuni,
d'ogni cetu e d'ogni rrazza,fannu elogi a la ragiuni,comu fussi na cosazza!Ma fra tutti sulu a mia piaci mejgghiu la paccia.

Quantu è bellu se la testa vota comu nu palorgiu! Quandu vota, fazzu festa, va la vita e non m'accorgiu.Ed allura jeu non sacciu
se su saviu o se su pacciu.

Chista vita è vera tana
di doluri e patimenti:
e cu nd'havi menti sana,
li doluri, jchiù li senti; ma cu nd'havi la paccia stavi sempri in allegria.

O paccia, cumpagna amata,
venitindi a la mè menti;
dunancilla na votata,
pemmu vivu allegramenti:
fa' nemmenu pemmu sacciu
se su saviu o se su pacciu.

Lu pacciu pe la guerra
Poesia scritta dal rev. Antonino Frisina, nato a Paracoriu, Delianuova (RC) nel 1832. Per tanti anni insegante elementare. Morì nel 1917.

Magari se qualcuno possiede altri esempi delle poesie di questo poeta e nostro compaesano, li invito a dividerle con noi...grazie
Silvana Rechichi