venerdì 28 settembre 2007

A mia madre e a tutte le donne

Cu di speranza campa disperatu mori
Proverbio profetico in un paese dove:
non ci sunnu uocchi pe ciangiri.

Delianuova, allora pedavoli e paraforio, paese dell'aspromonte che per arrivare, fino ai primi del 1940, non esistevano strade se non mulattiere. Giungere era dipendente dall’umore del tempo (meteorologico), che decideva se si poteva aprire all’esterno oppure rimanere isolati per lunghi periodi. La levantina, la neve, le fiumare queste erano i limiti all’evoluzione di una zona particolare come la nostra.
'Mbasciti juncu ca a jiumara passa.
Il popolino e in particolare le donne erano la parte finale che soggiaceva a diverse imposizioni: la natura, i gnuri, la 'ndrangheta ecc.
Na fimmina e na sumera fannu na fera.
Povere, disgraziate sempre sottomesse e anche ironia della sorte derise.
Cu 'ndavi fimmani no 'ndavi onuri.
La storia è sempre scritta dai vincitori. I perdenti sono sempre stati/te relegati/te ad un ruolo infimo.
I fimmini sbajiunu e i masculi trascuranu.
La vita delle nostre donne è sempre stata relegata ad un ruolo minore, il patriarcato è sempre stato imperante. Oltre al lavoro quotidiano, anche 'ncozzare (sottomettere) per esaudire i desideri sessuali.
'Ncozzare un termine frequente e quanto mai significativo nella popolazione povera. Si 'ncozza nei giochi, ai gnuri, al pù forte, al più delinquente ecc.. Una vita di 'ncozzati.
Quello che in fondo è la vita di un branco, il più debole soccombe.
Leggo da Schidon cronache e usanze 1870-1930, descrizione di abitudine della nostra zona, per quel che è la mia esperienza non si è fermata al 1930 anzi fino agli anni '80 non era cambiato tanto, “gran parte delle donne lavora nei campi a raccogliere olive, castagne, ghiande, coadiuva gli uomini nei lavori dell’orto, adattandosi a zappettare, innaffiare e seminare, oppure trasportando in testa mazzi di legna e ramaglie infasciate dentro la tortagna (verga di castagno ritorta).”
Letta così sembra una storia romantica e di gran fascino.
U cani du patroni muzzica sempre u sciancatu.
Le raccoglitrice di ulive erano delle schiave, senza diritti e tanti doveri.
Si svegliavano all’alba per raggiungere il fondo dove andare a raccogliere le olive. Nei tempi moderni con le automobili o i camion, si potevano permettere il lusso di dormire nella loro casa. Nei tempi passati invece dormivano in poche stanze dormitorio vicino ai fondi tutte ammassate coi loro piccoli, come le bestie.
Iniziavano la loro giornata sempre nella stessa posizione. Schiena curva in avanti, testa abbassata e sempre rivolta a terra e gambe allarghate. Con il fardale sempre umido o peggio ancora bagnato e pieno di olive. Le loro unghie durante questo periodo di lavoro non crescevano perché erano sempre a contatto e strofinavano con la terra. Ma non solo non crescevano durante il periodo della raccolta dell’olive, nemmeno a distanza di anni per questo lavoro infame. Il periodo di raccolta era da novembre ad aprile e chi conosce il clima in questo periodo nella nostra zona sa bene quanto clemente era ed è il tempo.
Si iniziava alle 7- 7,30 e si continuava fino alle 12, quando c’era l’ora di pranzo.
Ognuna tirava dal proprio sarvetto quel poco che aveva: melangiani sutt’ojio, pumadori sicchi , saliprisa e pani. Era il loro momento di riposo dove si poteva un po’ chiacchierare. Un’ora era quello che decideva chi comandava e controllava, perché...
a cira squajia e a processione no camina.
Si riprendeva verso l’una e così fino alle 5.
Ma non finiva, si doveva trasportare sopra la testa, fin dove arrivavano i camion per poi trasportarli al frantoio, i sacchi di zambara piene di olive dal peso circa di 30 kg.
U citrolo va sempre nculo all’ortolanu.
Tornate a casa si riprendeva il lavoro di mamma e moglie.
La raccolta delle castagne non era un lavoro differente.
Portare per chilometri ½ quintale di legna sulla testa non era nemmeno un divertimento.
Per quanto riguarda coadiuvare l’uomo nell’orto. L’unica cosa che coadiuvava l’uomo era la parte iniziale cioè lo zappare per rendere la terra più friabile e poi era sempre la donna a governarlo.
Nemmeno nelle feste comandate c’era riposo.
Penso solo una cosa, che la storia dovrebbe rendere merito a queste donne che in fondo sono sempre state e lo saranno sempre l’ossatura dell’umanità.
Penso che la loro saggezza avrebbe evitato a molti di noi di cercare in altri mondi il nostro futuro e la nostra libertà.

Auguri e Buon compleanno Maria

2 commenti:

rosa ha detto...

Ciao Franco, l'articolo mi ha ricordato un "passato" lontano, ma mai dimenticato. I mestieri del carbonaio e della raccoglitrice di ulive sono stati duri ma svolti con serietà, onestà e dirittura morale dai nostri genitori. Hanno lavorato nella convinzione che i loro sacrifici fossero la polizza da pagare per assicurare a noi figli un futuro migliore....e così è stato. Un Grazie sentito ma ancor di più doveroso ai nostri cari !!!

Anonimo ha detto...

Ciao Francesco,
ho letto il tuo articolo intitolato "A mia madre e a tutte le donne"; l'ho letto con molto interesse per via dei proverbi che rispecchiavano le condizioni di tante donne in tempi molto lontani per noi che siamo cresciuti in ere diverse di allora. Pero` parlando con mia madre,lei non si rispecchia in modo cosi` sottomesso. Lei "vede", ricorda e giudica il suo passato in modo piu` ottimista, forse perche` in seno alla sua famiglia, il lavoro nei campi ed in casa veniva distribuito in modo equo da genitori rigorosi, che hanno instillato nei figli dei valori ed una morale di vita che la mia mamma ha sempre creduto e mantenuto, nonostante i suoi 90 anni, durante i quali ha visto il mondo cambiare in modo drammatico davanti ai suoi occhi,pero` la sua filosofia era ed e` sempre vedere il lato positivo di ogni situazione: "Cu vivi sperando mori cantandu".
Ciao a presto,
Silvana Rechichi